Se qualcuno ancora non l'aveva capito...
da la Repubblica di oggi.
Il 20% del caro-greggio provocato dai giochi dei broker
E tra loro c'è chi punta al barile a duecento dollari
di Maurizio Ricci
ROMA - Il petrolio sfonda i 100 dollari al barile e, sul banco degli accusati per questa corsa infinita, sale, dopo i petrolieri troppo avidi e i consumatori troppo voraci, un'altra categoria di colpevoli: gli uomini della finanza selvaggia, gli stessi che ci hanno regalato la crisi del credito esplosa questa estate. In realtà, l'aumento del prezzo del greggio non è frutto solo della speculazione finanziaria, ma la speculazione finanziaria vi gioca un ruolo di primo piano.
Da anni, ormai, hedge funds, finanziarie, banche d'investimento hanno scoperto quelli che, una volta, erano i sonnacchiosi mercati delle materie prime. All'inizio della scorsa estate, i soldi investiti in questi mercati da attori che nulla hanno a che fare con la loro lavorazione e vendita, erano pari ad oltre 100 miliardi di dollari, concentrati, almeno per la metà, sulla regina delle materie prime: il petrolio.
Da allora, il torrente è diventato un fiume: di fronte al collasso del ricco mercato dei derivati e alle difficoltà delle Borse, la finanza d'assalto si è riversata in massa, a caccia di guadagni facili, sui listini del greggio, del grano, dei metalli, come mostrano le impennate dei prezzi di queste settimane. Pronta a qualsiasi scommessa, almeno sulla carta. L'ipotesi del greggio a 200 dollari al barile è, ad esempio, piuttosto remota. A novembre c'erano in atto 500 contratti di opzione, che davano cioè diritto a comprare greggio a quel prezzo il mese successivo. A gennaio, le opzioni per il greggio a 200 dollari erano diventate oltre 5.500.
Speculare sul greggio è più facile e meno costoso che speculare sulle azioni. Quelle opzioni per il greggio a 200 dollari, costavano 30 centesimi al barile. Se poi il greggio, come è avvenuto, non raggiunge quel prezzo, si possono buttare nel cestino, senza altri costi o obblighi di comprare. Anche il future, che è un contratto dove c'è un effettivo impegno a comprare, è più economico, nel mondo delle commodities. Per avere 100 mila dollari di azioni a Wall Street è necessario mettere sul piatto 50 mila dollari in contanti o simili, il cosiddetto margine. Per comprare a termine - appunto il future - 100 mila dollari di greggio, basta anticiparne 5 mila ed essere pronti a rivendere il diritto a quel greggio il giorno successivo. E praticamente nessuno degli attori di questo mercato vedrà mai un barile.
Ognuno di questi strumenti finanziari ha una sua logica. Le opzioni sono, in realtà, una forma di assicurazione contro il rischio di una imprevista impennata o crollo dei prezzi. I futures servono a rendere più liquido il mercato e ad aumentare il numero dei partecipanti. Ma i guadagni che si realizzano sfruttando le oscillazioni dei listini e le aspettative che queste determinano sul prezzo finale arroventano i mercati.
Il punto chiave è che la speculazione può esercitare questo impatto sui prezzi, perché sotto c'è uno squilibrio effettivo fra domanda e offerta. Il presidente dell'Unione petrolifera, Pasquale De Vita, in sintonia con i paesi produttori dell'Opec, ha stimato che la speculazione pesi per il 20% sul prezzo del greggio. Ammesso che la stima sia attendibile, questo significherebbe che, senza speculazione, il greggio sarebbe, comunque, a 80 dollari al barile, quasi il triplo di tre anni fa. Dietro questa impennata, ci sono motivi noti: l'imprevisto boom di domanda di paesi come la Cina, il rarefarsi di scoperte significative di nuovi giacimenti.
Ma anche due fattori relativamente recenti. Il primo è il crollo del dollaro e l'ascesa dell'euro. Il greggio viene tradizionalmente quotato in dollari. Dunque, dalle loro esportazioni di greggio, i paesi produttori incassano dollari. Ma, in particolare i paesi arabi, importano soprattutto dall'Europa e pagano, perciò in euro che, negli ultimi tre anni, si è apprezzato del 50% sul dollaro. Un economista di Oxford, Brad Setser calcola che i paesi arabi abbiano bisogno del greggio ad almeno 50 dollari al barile, solo per mantenere inalterato il loro livello di importazioni e di investimenti.
Il secondo è la rottura di un cruciale meccanismo regolatore della domanda. Fino a pochi anni fa, l'aumento del prezzo del petrolio determinava una contrazione dell'attività economica e della domanda di greggio nei principali consumatori, i paesi industrializzati. Questo è puntualmente avvenuto, nel 2006 e nel 2007, nei paesi industrializzati. Ma la domanda globale di petrolio è aumentata lo stesso. Perché un nuovo grande consumatore come la Cina ha continuato a marciare a ritmi record. E perché, come sottolinea l'economista canadese Jeff Rubin, c'è un nuovo gruppo di consumatori, insensibili al prezzo: i paesi del Golfo Persico, più Russia e Messico, in sostanza, i grandi paesi produttori. Non basta più una recessione americana o europea per fermare la corsa del petrolio.
(28 febbraio 2008)
giovedì 28 febbraio 2008
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