venerdì 28 marzo 2008

Elezioni - bollettino numero 4

Chissà se Berlusconi ha una coscienza. Viene da chiederselo, quando si assiste a una sceneggiata come quella degli ultimi giorni con l'Alitalia. Quando assume quegli atteggiamenti da padrone, da uomo della provvidenza. Alitalia? Solo io sono in grado di risolverla. Ho una cordata. Anzi no. Ci sono i miei figli. Anzi no. C'è Ligresti. Anzi no.
E il titolo va su e giù in Borsa. E Air France comincia a pensare in che guaio si sta cacciando.
Grazie di esistere, Silvio. Senza di te, questo paese sarebbe fuori dal Medioevo. Invece ci sei tu.
Grazie

da la Repubblica di oggi.



SULLA PELLE DEL PAESE

di MASSIMO GIANNINI

Il "patrimonio" più prezioso delle leadership politiche moderne è la credibilità. Sulla vicenda Alitalia Silvio Berlusconi ha risolto felicemente il problema. Non l'ha perduta: molto più semplicemente, ha dimostrato di non averla mai posseduta. Non ci sarebbe nulla di male, se questa fosse solo una carenza personale. Purtroppo è invece un'emergenza nazionale. Ancora una volta, il Cavaliere gioca la sua roulette russa sulla pelle del Paese. Era il 17 febbraio 2004, quando governava l'Italia e dichiarava all'Ansa: "Per fortuna di Alitalia c'è il signor Berlusconi che impiegherà tutto il suo talento per risanarla".

Sono passati quattro anni. E non solo allora non l'ha risanata. Ma ora sta impiegando tutto il suo "talento" per farla fallire. In un micidiale impasto di indegnità politica, di irresponsabilità economica e forse addirittura di illiceità giuridica.

Avevamo provato a prendere sul serio gli annunci del Cavaliere sulla sedicente "cordata italiana" pronta a scendere in campo per evitare la "svendita" della compagnia di bandiera ad Air France. Avevamo tentato di non irridere il presunto "tentativo patriottico" di difendere un interesse nazionale, di fronte alla prima pioggia di smentite che già dal primo giorno della sua offensiva su Alitalia, giovedì della scorsa settimana, avevano sommerso il Cavaliere.

Smentite sull'esistenza di "numerosi imprenditori italiani disposti a intervenire", sul "sicuro coinvolgimento di Banca Intesa", sulla richiesta di "un prestito-ponte al governo" per sostenere l'iniziativa. Avevamo provato a chiedere al leader del Pdl un estremo gesto di responsabilità. Nei confronti del Paese, di uno dei suoi asset industriali più blasonati, delle 18 mila persone che ci lavorano, dei mercati finanziari, degli elettori. Se esiste davvero un "cavaliere bianco" in marcia su Alitalia, il Cavaliere di Arcore ha il dovere di dire chi è, con quali soldi interviene, con quali progetti industriali risana, con quali alleanze internazionali rilancia.

A modo suo, Berlusconi ha raccolto l'invito. Mettendo in fila la più stupefacente sequela di profezie autosmentite della sua quindicennale avventura politica. Giovedì scorso aveva detto che nella cordata tricolore c'erano anche i suoi figli: "li conosco, non si tirerebbero mai indietro". L'altro ieri ci ha ripensato: "I miei figli in campo? Nemmeno per sogno". Ieri, finalmente, ha fatto i nomi: Ligresti, Benetton, Mediobanca, l'Eni.

"In questi giorni mi hanno confidato il loro interessamento", ha dichiarato alla Stampa. La pioggia di smentite si è ripetuta, persino più intensa di sette giorni fa. Nessuno dei soggetti chiamati in causa ha sul tavolo la pratica Alitalia. In serata il solito voltafaccia: "Sono solo contatti, non decisioni già assunte". Poi la rituale minaccia: "Colpa dei giornali, che intingono la penna nell'inchiostro rosso della sinistra".

La campagna del Cavaliere sull'affare Alitalia è un caso di scuola. Sta ripetendo un'operazione epistemologica nota. È la "strategia del tranello" raccontata a suo tempo da Alessandro Amadori. Lancia un segnale, affermando qualcosa o attaccando qualcuno. Ottiene una reazione, meglio se indignata e spropositata. Nega di aver affermato, o di aver voluto attaccare. Lascia l'avversario impantanato nel suo stesso eccesso di reazione. È il meccanismo della "schismogenesi", sul quale ha costruito tanta parte delle sue fortune politiche. Ha funzionato tutti questi anni, complice una sinistra non sempre consapevole di fare il suo gioco. È convinto che possa funzionare ancora.

Ma sta anche costruendo un'operazione politica nuova. L'uso strumentale della vendita ai francesi serve al Cavaliere a far scattare la trappola mortale sul centrosinistra. Da un lato, riporta in vita, per esporlo alla pubblica gogna di qui al 13 aprile, lo "scheletro che Veltroni voleva nascondere nell'armadio", cioè quello di Romano Prodi. Un boiardo dell'Iri, che oggi fa accordi sottobanco sull'Alitalia come ieri li ha fatti sulla Sme, e che col suo governo ha messo in ginocchio il Paese. Risucchiarlo nell'arena elettorale è utile a delegittimare il suo erede.

Dall'altro lato, riattiva la solita sinapsi anticomunista, per spaventare i moderati sull'esistenza del solido filo che collega Pci-Pds-Ds-Pd. Un'equazione ideologica, che ieri è servita a sfondare al centro e oggi può mobilitare gli indecisi. Rilanciarla nella campagna elettorale è utile a negare l'evoluzione identitaria che ha portato ex-comunisti ed ex-democristiani a confluire nel nuovo Partito democratico.

Ma questa volta c'è una doppia aggravante. La prima è di merito. Berlusconi continua a speculare politicamente su una vicenda che ha enormi implicazioni, economiche e finanziarie. Investe allegramente sulla rottura dell'accordo con Air France, puntando a far fallire l'unica trattativa in corso e preparandosi a scaricare sul Paese i costi del fallimento di Alitalia. Scommette al buio sui destini di un'azienda e sul futuro dei lavoratori.

Gioca a dadi con un titolo quotato in Borsa, che nell'ultima settimana ha avuto sbalzi di prezzo al rialzo e al ribasso fino del 40%. E solo oggi, con un ritardo tanto inspiegabile quanto colpevole, la Consob si premura di intervenire, e la Procura di Roma si decide ad accendere un faro. Coinvolge nella sua disinvolta partita individuale altri pezzi di capitalismo pubblico e privato, di cui da premier in pectore potrebbe diventare azionista (l'Eni) o concessore (i Benetton). E ancora una volta, con un'evidenza mai tanto lampante, si ripropone l'irrisolto vulnus democratico del conflitto di interessi.

La seconda aggravante è di metodo. Nessun'altra democrazia occidentale tollererebbe un leader politico capace di giocare così spudoratamente su una questione di interesse nazionale e su un'operazione market sensitive. Nessun altro Paese civile sarebbe disposto a riconoscere un briciolo di credibilità ad un potenziale premier capace di manipolare così irresponsabilmente i dati della realtà, i fatti dell'economia, gli interessi delle persone, i diritti degli elettori. Purtroppo, per la quinta volta dal 1994, è esattamente quello che sta succedendo. La tragedia d'Italia degenera nella farsa dell'Alitalia. O viceversa. Ci sarebbe da ridere. Ma stavolta, tra vere mozzarelle venefiche e false bufale mediatiche, c'è davvero da piangere.

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