mercoledì 16 aprile 2008
ZERO
Come promesso, questo blog chiude i battenti. Resterà a galleggiare nella rete, come un relitto abbandonato, a testimonianza di un periodo di scoramento ed illusioni.
Che dovrà durare ancora a lungo.
lunedì 7 aprile 2008
E la crisi spinge i nonni
Da la Repubblica di oggi.
E la crisi spinge i nonni
a rubare nei supermercati
di JENNER MELETTI
"Per portare via una busta di prosciutto o una confezione di formaggio - continua - impiegano fra i dieci minuti e il quarto d'ora. Ecco, adesso fa la faccia un po' arrabbiata, come se dicesse: 'guarda che prezzi'. Rimette il grana al suo posto. Fa un giro, va allo scaffale del parmigiano reggiano. Anche qui guarda i prezzi. Troppo caro: 422 grammi costano 7,05 euro, 16,70 al chilo. Può sembrare strano, ma l'anziano che ha deciso di rubare sceglie quasi sempre il prodotto che costa meno, per fare meno danni al supermercato e anche per mettersi in pace la coscienza. Ecco, torna al grana padano. Sempre lo stesso pezzo, ormai lo ha battezzato. Lo prende in mano, lo tiene in bella mostra. Dieci metri dopo lo mette nella tasca del gabardine ma lo tira fuori quasi subito, lo abbandona su un altro scaffale. Pochi passi ancora e torna indietro, riprende il formaggio e lo riporta nel suo scaffale. Poveretti, questi poveri ladri. Ci mettono tanto tempo che li becchiamo quasi tutti".
Provocano angoscia, i film a colori che raccontano i furti dei vecchi. Film che per fortuna spariscono ogni sera, quando l'ipermercato viene chiuso e le registrazioni delle tante telecamere vengono cancellate. "Ecco, l'uomo ha trovato il coraggio. Non c'è nessuno intorno, mette il grana padano in tasca, si avvia verso la cassa. Ha comprato anche due rosette di pane, un pacco di pasta e le mele. Mentre è in fila alla cassa, si vede che ha paura. Si agita, si guarda intorno. Ma ormai è fatta. Tanti ci ripensano all'ultimo momento, tornano indietro e abbandonano la refurtiva dove capita, il salame fra le merendine e la carne fra le fette biscottate".
L'uomo arriva davanti alla cassiera, mette sul bancone le cose che vuole pagare. Ma la telecamera ha seguito l'uomo che ha rubato il grana padano e, pochi metri dopo la casa, c'è Antonella che aspetta. "È lei - dice Stefano Cavagna - che ferma gli anziani che hanno rubato. Abbiamo messo una donna, così i ladri hanno meno paura. Ci sono cartelli che annunciano che, per tutti, dopo il pagamento alla cassa ci può essere un controllo scontrino e chi viene fermato non viene subito bollato come ladro dagli altri clienti".
Valentina è una ragazza gentile. "Scusi, dovremmo controllare lo scontrino. Sa, a volte anche le cassiere si sbagliano. Può seguirmi?". Poche decine di passi verso una stanza usata come infermeria. "Signore, si è dimenticato di pagare qualcosa? E qui l'anziano confessa. Tira fuori il grana o il prosciutto, chiede scusa, spesso si mette a piangere. Dice che è solo, con l'affitto e le bollette da pagare, che i figli non si fanno mai vivi. Antonella spiega che non si può rubare al supermercato, che il Conad ogni giorno manda tanti prodotti vicino alla scadenza alle mense e alle associazioni di carità che così possono distribuire alimenti e 21.000 pasti all'anno. Chi ruba per fame, se non è recidivo, non viene denunciato. Facciamo pagare ciò che è stato sottratto e spieghiamo che non sarà perdonato una seconda volta".
Il Conad di via Larga è lo stesso dove, 4 anni fa, "nonno T." andava a rubare i mandarini e, pieno di vergogna, accettava di parlarne con Repubblica. Erano quasi mosche bianche, allora, gli anziani accusati di furto. "Da allora - dice il direttore - le cose sono cambiate, in peggio. I 'nonni T.' si sono moltiplicati. Rispetto a quattro anni fa - e il picco è stabile già da due anni - gli anziani che rubano sono aumentati del 40- 50%. Guardi qui, sui monitor della nostra sicurezza. I reparti dove sono si usano le telecamere più sofisticate, che permettono di seguire una persona molto da vicino, sono puntate sul reparto ortofrutta e sui cibi freschi. Sorvegliamo soprattutto il cibo perché è il prodotto più a rischio".
"Questo vuol dire che ci sono molte persone che, se non soffrono la fame, quantomeno non possono permettersi cibi ai quali si erano abituati. Vengono rubati infatti la busta di prosciutto crudo, la confezione con due bistecche, il formaggio per una grattugiata sulla pasta... E c'è chi mangia direttamente fra gli scaffali. In questa stagione l'uva viene spesso consumata sul posto, c'è chi svuota una confezione di merendine... Un iper è una città. Qui gli anziani sono di casa, al caldo d'inverno e al fresco d'estate. In gran parte per fortuna non rubano. Fanno il giro delle degustazioni. Un caffè gratis lo trovano ogni giorno, e spesso una fetta di salame o di prosciutto. Tanti ormai vivono qui. Chiedono ai commessi di spegnere tutta quella musica sugli schermi del reparto tv. 'Fateci vedere invece il giro d'Italia'. C'è un buon rapporto, con loro. E io continuo a mandare messaggi, a dire che siamo qui per vendere ma possiamo dare una mano a chi abbia davvero bisogno. Noi stiamo male, quando dobbiamo chiedere a un vecchio se 'ha dimenticato di pagare qualcosa'".
"Nei loro occhi - conclude - vedi il terrore: gente che ha lavorato una vita e si trova a vivere così male gli ultimi anni. Ma i ladri con tanti anni e tanta paura addosso sono aumentati e noi non possiamo spegnere le telecamere".
A Udine, nella strada che dalla città porta verso Tolmezzo, c'è la più alta concentrazione di iper e supermercati d'Europa. "Anche qui, in quattro anni - dice il tenente Fabio Pasquariello, comandante del nucleo investigativo dei carabinieri - i furti commessi dagli anziani sono aumentati del 40%. Per affrontare il problema, ho incontrato anche i direttori e responsabili sicurezza di questi centri commerciali. Ho spiegato che il furto semplice si persegue solo su querela, mentre chi fa danni - ad esempio strappando una confezione - può essere accusato di furto aggravato e non serve querela. Ho anche detto che, se il direttore ci chiama, noi non possiamo fare da pacieri: dobbiamo denunciare chi ha commesso il reato".
"Per questo - continua - tanti direttori, quando trovano l'anziano che ha rubato, si limitano a fargli pagare la merce e a dirgli di non presentarsi mai più nel supermercato. L'anziano che ha rubato per fame, quando ci vede arrivare in divisa, resta di ghiaccio. Non riesce nemmeno a parlare. Sono strani ladri, i vecchi. Rubano la confezione di tonno che costa meno, o il prosciutto cotto in offerta speciale. Ma la fame è brutta. Noi carabinieri vediamo la povertà anche dentro le case, quando entriamo perché ci sono stati maltrattamenti o liti. Trovi famiglie che hanno la tv al plasma e niente in frigorifero. Gli addetti alla sicurezza dei supermercati dicono che gli anziani sono la categoria più a rischio: rubano più dei ragazzi in cerca di dvd o cd e degli extracomunitari. Secondo le mie informazioni, extracomunitari e pensionati sono alla pari, ma solo perché questa è una zona di confine e gli extracomunitari residenti e soprattutto di passaggio sono tanti. Con le bande di ladri professionisti riusciamo a ottenere successi. Abbiamo individuato una banda di croati che organizzava viaggi in Italia e costringeva altri croati che dovevano pagare debiti agli usurai a compiere furti. Li abbiamo messi in galera. Ma contro il vecchio che quando ci vede resta quasi paralizzato, che puoi fare?".
I titolari dei supermercati in questo pezzo di Nordest, non vogliono i loro nomi sui giornali. "Ci sono anche gli anziani onesti e non vogliamo perdere clienti". Raccontano però che anche le tecniche si sono affinate. "Non solo aggiungono frutta al sacchetto già pesato: lo tengono sollevato al momento della pesata, così lo scontrino è più leggero". "Il ladro più abile? Un anziano che veniva tutte le mattine a comprare una pagnotta. Un giorno l'abbiamo fermato a addosso aveva 80 euro di cibi vari". "Nel mio piccolo market di paese, dopo trent'anni di attività, tre mesi fa ho dovuto assumere un addetto all'anti taccheggio". "Ai vecchi noi non facciamo mettere l'acqua minerale sul bancone della cassa. La lasciano sul carrello, così non fanno sforzi. E c'è chi se ne approfitta e fra due confezioni ben strette l'una all'altra infila una busta di bresaola o di salmone".
"Il furto più piccolo? C'è una signora che quasi ogni giorno si ruba un ovetto Kinder, e non ha nipoti. L'altro giorno un anziano è stato trovato mentre rubava una cioccolata da 1,05 euro". "Ormai, quando li fermi, senti la stessa litania: non riesco ad arrivare a fine mese, ieri ho pagato la luce e sono rimasto senza soldi...". Ma ci sono anche parole commosse. "Quando li fermi, i vecchi, ti fanno stare male. Appena riescono a riprendere fiato ti chiedono solo una cosa: "per carità, non ditelo ai miei figli"".
venerdì 28 marzo 2008
Elezioni - bollettino numero 4
E il titolo va su e giù in Borsa. E Air France comincia a pensare in che guaio si sta cacciando.
Grazie di esistere, Silvio. Senza di te, questo paese sarebbe fuori dal Medioevo. Invece ci sei tu.
Grazie
da la Repubblica di oggi.
SULLA PELLE DEL PAESE
di MASSIMO GIANNINI
Il "patrimonio" più prezioso delle leadership politiche moderne è la credibilità. Sulla vicenda Alitalia Silvio Berlusconi ha risolto felicemente il problema. Non l'ha perduta: molto più semplicemente, ha dimostrato di non averla mai posseduta. Non ci sarebbe nulla di male, se questa fosse solo una carenza personale. Purtroppo è invece un'emergenza nazionale. Ancora una volta, il Cavaliere gioca la sua roulette russa sulla pelle del Paese. Era il 17 febbraio 2004, quando governava l'Italia e dichiarava all'Ansa: "Per fortuna di Alitalia c'è il signor Berlusconi che impiegherà tutto il suo talento per risanarla".
Sono passati quattro anni. E non solo allora non l'ha risanata. Ma ora sta impiegando tutto il suo "talento" per farla fallire. In un micidiale impasto di indegnità politica, di irresponsabilità economica e forse addirittura di illiceità giuridica.
Avevamo provato a prendere sul serio gli annunci del Cavaliere sulla sedicente "cordata italiana" pronta a scendere in campo per evitare la "svendita" della compagnia di bandiera ad Air France. Avevamo tentato di non irridere il presunto "tentativo patriottico" di difendere un interesse nazionale, di fronte alla prima pioggia di smentite che già dal primo giorno della sua offensiva su Alitalia, giovedì della scorsa settimana, avevano sommerso il Cavaliere.
Smentite sull'esistenza di "numerosi imprenditori italiani disposti a intervenire", sul "sicuro coinvolgimento di Banca Intesa", sulla richiesta di "un prestito-ponte al governo" per sostenere l'iniziativa. Avevamo provato a chiedere al leader del Pdl un estremo gesto di responsabilità. Nei confronti del Paese, di uno dei suoi asset industriali più blasonati, delle 18 mila persone che ci lavorano, dei mercati finanziari, degli elettori. Se esiste davvero un "cavaliere bianco" in marcia su Alitalia, il Cavaliere di Arcore ha il dovere di dire chi è, con quali soldi interviene, con quali progetti industriali risana, con quali alleanze internazionali rilancia.
A modo suo, Berlusconi ha raccolto l'invito. Mettendo in fila la più stupefacente sequela di profezie autosmentite della sua quindicennale avventura politica. Giovedì scorso aveva detto che nella cordata tricolore c'erano anche i suoi figli: "li conosco, non si tirerebbero mai indietro". L'altro ieri ci ha ripensato: "I miei figli in campo? Nemmeno per sogno". Ieri, finalmente, ha fatto i nomi: Ligresti, Benetton, Mediobanca, l'Eni.
"In questi giorni mi hanno confidato il loro interessamento", ha dichiarato alla Stampa. La pioggia di smentite si è ripetuta, persino più intensa di sette giorni fa. Nessuno dei soggetti chiamati in causa ha sul tavolo la pratica Alitalia. In serata il solito voltafaccia: "Sono solo contatti, non decisioni già assunte". Poi la rituale minaccia: "Colpa dei giornali, che intingono la penna nell'inchiostro rosso della sinistra".
La campagna del Cavaliere sull'affare Alitalia è un caso di scuola. Sta ripetendo un'operazione epistemologica nota. È la "strategia del tranello" raccontata a suo tempo da Alessandro Amadori. Lancia un segnale, affermando qualcosa o attaccando qualcuno. Ottiene una reazione, meglio se indignata e spropositata. Nega di aver affermato, o di aver voluto attaccare. Lascia l'avversario impantanato nel suo stesso eccesso di reazione. È il meccanismo della "schismogenesi", sul quale ha costruito tanta parte delle sue fortune politiche. Ha funzionato tutti questi anni, complice una sinistra non sempre consapevole di fare il suo gioco. È convinto che possa funzionare ancora.
Ma sta anche costruendo un'operazione politica nuova. L'uso strumentale della vendita ai francesi serve al Cavaliere a far scattare la trappola mortale sul centrosinistra. Da un lato, riporta in vita, per esporlo alla pubblica gogna di qui al 13 aprile, lo "scheletro che Veltroni voleva nascondere nell'armadio", cioè quello di Romano Prodi. Un boiardo dell'Iri, che oggi fa accordi sottobanco sull'Alitalia come ieri li ha fatti sulla Sme, e che col suo governo ha messo in ginocchio il Paese. Risucchiarlo nell'arena elettorale è utile a delegittimare il suo erede.
Dall'altro lato, riattiva la solita sinapsi anticomunista, per spaventare i moderati sull'esistenza del solido filo che collega Pci-Pds-Ds-Pd. Un'equazione ideologica, che ieri è servita a sfondare al centro e oggi può mobilitare gli indecisi. Rilanciarla nella campagna elettorale è utile a negare l'evoluzione identitaria che ha portato ex-comunisti ed ex-democristiani a confluire nel nuovo Partito democratico.
Ma questa volta c'è una doppia aggravante. La prima è di merito. Berlusconi continua a speculare politicamente su una vicenda che ha enormi implicazioni, economiche e finanziarie. Investe allegramente sulla rottura dell'accordo con Air France, puntando a far fallire l'unica trattativa in corso e preparandosi a scaricare sul Paese i costi del fallimento di Alitalia. Scommette al buio sui destini di un'azienda e sul futuro dei lavoratori.
Gioca a dadi con un titolo quotato in Borsa, che nell'ultima settimana ha avuto sbalzi di prezzo al rialzo e al ribasso fino del 40%. E solo oggi, con un ritardo tanto inspiegabile quanto colpevole, la Consob si premura di intervenire, e la Procura di Roma si decide ad accendere un faro. Coinvolge nella sua disinvolta partita individuale altri pezzi di capitalismo pubblico e privato, di cui da premier in pectore potrebbe diventare azionista (l'Eni) o concessore (i Benetton). E ancora una volta, con un'evidenza mai tanto lampante, si ripropone l'irrisolto vulnus democratico del conflitto di interessi.
La seconda aggravante è di metodo. Nessun'altra democrazia occidentale tollererebbe un leader politico capace di giocare così spudoratamente su una questione di interesse nazionale e su un'operazione market sensitive. Nessun altro Paese civile sarebbe disposto a riconoscere un briciolo di credibilità ad un potenziale premier capace di manipolare così irresponsabilmente i dati della realtà, i fatti dell'economia, gli interessi delle persone, i diritti degli elettori. Purtroppo, per la quinta volta dal 1994, è esattamente quello che sta succedendo. La tragedia d'Italia degenera nella farsa dell'Alitalia. O viceversa. Ci sarebbe da ridere. Ma stavolta, tra vere mozzarelle venefiche e false bufale mediatiche, c'è davvero da piangere.
giovedì 13 marzo 2008
Elezioni - bollettino numero 3
Domanda: Scusi, onorevole Berlusconi, cosa intendete fare contro la precarietà?
Risposta: Signorina, lei è carina. Cominci a darla via, magari a qualche riccone miliardario, tipo mio figlio.
Domanda: Guardi che di miliardari non ce ne sono tanti.
Risposta: Signorina, la concorrenza è tanta. Guardi che sono già in molte a darla ai ricconi, se non si sbriga resta dove sta.
Ma su. Come siete. Berlusconi voleva solo fare una battuta. Mica diceva sul serio.
Mica la politica è una cosa seria.
Andiamo. Siete i soliti.
da la Repubblica di oggi.
Berlusconi: "Contro la precarietà?
Sposare mio figlio o un milionario"
"Io, da padre - ha risposto Berlusconi sorridendo - le consiglio di cercare di sposare il figlio di Berlusconi o qualcun altro del genere; e credo che, con il suo sorriso, se lo può certamente permettere". Poi, ha elencato le proposte contenute nel programma del Pdl per aiutare i giovani, dalle agevolazioni sui mutui al piano-casa.
All'obiezione del conduttore della trasmissione, Maurizio Martinelli, che "di figli di Berlusconi in giro ce ne sono pochi" il Cavaliere, sempre sorridente, ha insistito: "Se dovessi dire qual è il consiglio più valido, penso sia quello che le ho dato all'inizio...".
La battuta ha scatenato un coro di reazioni indignate da parte del Pd e della Sinistra Arcobaleno. "Come italiano mi vergogno delle parole di Berlusconi" commenta Dario Franceschini. "Di fronte a centinaia di migliaia di giovani italiani che vivono la precarietà del loro rapporto di lavoro come un'ipoteca sul loro futuro, rispondere ad una ragazza precaria che il modo di uscire dalla sua situazione è sposare il proprio figlio, o il figlio di un milionario, suona come un'offesa insopportabile" continua il vicesegretario del Partito Democratico, aggiungendo: "Penso che in qualsiasi paese un leader politico, a prescindere da quale parte politica esso appartenga, sarebbe costretto a scusarsi per quella battuta offensiva".
Per Fausto Bertinotti, l'uscita di Berlusconi, anche se si tratta di uno scherzo, è allarmante e "indicativa di una cultura che propone ai giovani una realizzazione fuori dalla loro vita ordinaria". Per il candidato premier di Sinistra Arcobaleno viste le proposte della destra non resta che augurare ai precari "che vincano la lotteria", ma la ricetta della sinistra è quella di "cancellare l'idea della lotteria" a favore di miglioramenti concreti.
(13 marzo 2008)
martedì 11 marzo 2008
Elezioni - bollettino numero 2
L'altro giorno, Ciarrapico ha detto candidamente di essere fascista. Apriti cielo. La Lega ha chiesto che non si candidasse più. Fiamma Nirenstein, candidata con il PDL, ha chiesto che non si candidasse più. AN ha detto che la sua candidatura era stata voluta solo da Berlusconi.
L'unico a dire delle cose sensate, in questa storia, difficile a credersi, è stato proprio il padrone dell'etere. Ha detto che le elezioni bisogna vincerle. Che un editore che si schiera dalla sua parte lo aiuta. Molto.
Grande. Vivaddio che qualcuno dice le cose come stanno.
Ho solo due domande, a questo punto:
a) chi si azzarderà più a dire che le televisioni e i giornali non condizionano l'opinione pubblica?
b) Fiamma Nirenstein non aveva di meglio da fare che candidarsi con i fascisti che hanno promulgato le leggi razziali contro il popolo ebraico nel 1938?
Alla prossima.
domenica 9 marzo 2008
Elezioni - bollettino numero 1
Ieri Il Signore dell'Etere ha platealmente stracciato il programma del Partito Democratico, ricevendo una selva di applausi da parte del suo pubblico adorante.
La motivazione suonava più o meno cosi': visto che non rispetteranno gli obbiettivi, lo stracciamo prima.
Ora, le continue accuse di plagio da parte di tutti i suoi servi, signor Padrone, potrebbero risultare anche fuori luogo. Se il programma da Lei stracciato è una misera copia del suo, perchè non ha stracciato direttamente il suo?
Non mi dirà che Lei intende rispettarlo, vero?
Alla faccia di tutti i possibili pre-accordi elettorali, quando Lui sente odore di sconfitta, fa vedere al suo pubblico il suo lato migliore.
La democrazia non è questo. Ma Berlusconi, con la democrazia ci si pulisce il deretano. Forza Italia l'ha inventata il mafioso Marcello Dell'Utri. Il PDL probabilmente pure. In quattordici anni, questi due partiti non hanno mai avuto una riunione per stabilire una linea politica, c'è stato forse un congresso, per acclamare il capo.
Questa non è democrazia. E' la classica formula uno decide-gli altri obbediscono.
Potete accusarci di quello che volete. Ma se in Italia esiste ancora una democrazia, non è merito vostro.
Passiamo oltre. Oggi in Spagna si è votato. Un po' di invidia, signore e signori. In quel paese si vota sempre ogni quattro anni. Ha rivinto Zapatero e udite udite, il capo dell'opposizione lo ha chiamato per complimentarsi con lui.
Cose dell'altro mondo.
Clemente l'uomo senza semi - terza e ultima(?) puntata
Una buona notizia? Dipende dall'angolazione dalla quale si guarda.
Se è vero che il suo nome è diventato talmente impresentabile che nessuna forza politica ha voluto avere a che fare con lui, è indubbiamente un segno positivo. Cosa sarebbe potuto succedere di peggio all'uomo che ci ha cacciato in una nuova elezione anticipata, per un puro, cinico e spietato calcolo politico.
Prendiamola cosi' questa cosa. Non voglio cercare altri significati in questo. Tra l'altro, la politica non è solo incarichi amministrativi. Chi può dire oggi con matematica certezza che questa scelta non venga premiata in altro modo, magari con qualche incarico da manager pubblico, tra un anno?
Aspetteremo e vedremo.
Ciao Clemente. Non ci mancherai.
Per il momento.
giovedì 28 febbraio 2008
Petrolio, così la speculazione affonda la nostra economia
da la Repubblica di oggi.
Il 20% del caro-greggio provocato dai giochi dei broker
E tra loro c'è chi punta al barile a duecento dollari
di Maurizio Ricci
ROMA - Il petrolio sfonda i 100 dollari al barile e, sul banco degli accusati per questa corsa infinita, sale, dopo i petrolieri troppo avidi e i consumatori troppo voraci, un'altra categoria di colpevoli: gli uomini della finanza selvaggia, gli stessi che ci hanno regalato la crisi del credito esplosa questa estate. In realtà, l'aumento del prezzo del greggio non è frutto solo della speculazione finanziaria, ma la speculazione finanziaria vi gioca un ruolo di primo piano.
Da anni, ormai, hedge funds, finanziarie, banche d'investimento hanno scoperto quelli che, una volta, erano i sonnacchiosi mercati delle materie prime. All'inizio della scorsa estate, i soldi investiti in questi mercati da attori che nulla hanno a che fare con la loro lavorazione e vendita, erano pari ad oltre 100 miliardi di dollari, concentrati, almeno per la metà, sulla regina delle materie prime: il petrolio.
Da allora, il torrente è diventato un fiume: di fronte al collasso del ricco mercato dei derivati e alle difficoltà delle Borse, la finanza d'assalto si è riversata in massa, a caccia di guadagni facili, sui listini del greggio, del grano, dei metalli, come mostrano le impennate dei prezzi di queste settimane. Pronta a qualsiasi scommessa, almeno sulla carta. L'ipotesi del greggio a 200 dollari al barile è, ad esempio, piuttosto remota. A novembre c'erano in atto 500 contratti di opzione, che davano cioè diritto a comprare greggio a quel prezzo il mese successivo. A gennaio, le opzioni per il greggio a 200 dollari erano diventate oltre 5.500.
Speculare sul greggio è più facile e meno costoso che speculare sulle azioni. Quelle opzioni per il greggio a 200 dollari, costavano 30 centesimi al barile. Se poi il greggio, come è avvenuto, non raggiunge quel prezzo, si possono buttare nel cestino, senza altri costi o obblighi di comprare. Anche il future, che è un contratto dove c'è un effettivo impegno a comprare, è più economico, nel mondo delle commodities. Per avere 100 mila dollari di azioni a Wall Street è necessario mettere sul piatto 50 mila dollari in contanti o simili, il cosiddetto margine. Per comprare a termine - appunto il future - 100 mila dollari di greggio, basta anticiparne 5 mila ed essere pronti a rivendere il diritto a quel greggio il giorno successivo. E praticamente nessuno degli attori di questo mercato vedrà mai un barile.
Ognuno di questi strumenti finanziari ha una sua logica. Le opzioni sono, in realtà, una forma di assicurazione contro il rischio di una imprevista impennata o crollo dei prezzi. I futures servono a rendere più liquido il mercato e ad aumentare il numero dei partecipanti. Ma i guadagni che si realizzano sfruttando le oscillazioni dei listini e le aspettative che queste determinano sul prezzo finale arroventano i mercati.
Il punto chiave è che la speculazione può esercitare questo impatto sui prezzi, perché sotto c'è uno squilibrio effettivo fra domanda e offerta. Il presidente dell'Unione petrolifera, Pasquale De Vita, in sintonia con i paesi produttori dell'Opec, ha stimato che la speculazione pesi per il 20% sul prezzo del greggio. Ammesso che la stima sia attendibile, questo significherebbe che, senza speculazione, il greggio sarebbe, comunque, a 80 dollari al barile, quasi il triplo di tre anni fa. Dietro questa impennata, ci sono motivi noti: l'imprevisto boom di domanda di paesi come la Cina, il rarefarsi di scoperte significative di nuovi giacimenti.
Ma anche due fattori relativamente recenti. Il primo è il crollo del dollaro e l'ascesa dell'euro. Il greggio viene tradizionalmente quotato in dollari. Dunque, dalle loro esportazioni di greggio, i paesi produttori incassano dollari. Ma, in particolare i paesi arabi, importano soprattutto dall'Europa e pagano, perciò in euro che, negli ultimi tre anni, si è apprezzato del 50% sul dollaro. Un economista di Oxford, Brad Setser calcola che i paesi arabi abbiano bisogno del greggio ad almeno 50 dollari al barile, solo per mantenere inalterato il loro livello di importazioni e di investimenti.
Il secondo è la rottura di un cruciale meccanismo regolatore della domanda. Fino a pochi anni fa, l'aumento del prezzo del petrolio determinava una contrazione dell'attività economica e della domanda di greggio nei principali consumatori, i paesi industrializzati. Questo è puntualmente avvenuto, nel 2006 e nel 2007, nei paesi industrializzati. Ma la domanda globale di petrolio è aumentata lo stesso. Perché un nuovo grande consumatore come la Cina ha continuato a marciare a ritmi record. E perché, come sottolinea l'economista canadese Jeff Rubin, c'è un nuovo gruppo di consumatori, insensibili al prezzo: i paesi del Golfo Persico, più Russia e Messico, in sostanza, i grandi paesi produttori. Non basta più una recessione americana o europea per fermare la corsa del petrolio.
(28 febbraio 2008)
giovedì 21 febbraio 2008
La garrota
Questo strumento aveva una particolarità, veramente atroce. Il meccanismo stringeva lentamente, lentamente, il collo del condannato, fino a fargli uscire gli occhi di fuori.
La medesima tecnica viene applicata da alcuni anni in Europa. Ma non più in Spagna. In Italia. Le famiglie subiscono un lento ma costante strangolamento economico, completamente negato da qualsiasi istituto economico.
Il meccanismo che ha innescato questa stretta si chiama liberismo. Ma non il liberismo virtuoso di Keynes, ma il liberismo d'accatto all'italiana.
Ogni liberalizzazione che si è compiuta sul suolo italico si è tramutata un una garrota. Liberalizzate le assicurazioni: il prezzo delle stesse è cresciuto in modo esponenziale, senza alcun freno, nè multa da parte di alcun ente. E l'assicurazione dell'auto è obbligatoria.
Liberalizzato il prezzo della benzina: il prezzo cresce senza freni da qualche anno, arrivando a diventare il più caro d'Europa.
Liberalizzato il prezzo degli affitti, abolendo l'equo canone: il prezzo degli affitti è alle stelle e nessun abitante delle città è più in grado di andare in affitto senza rinunciare a quasi tutte le proprie entrate mensili.
Liberalizzate le tariffe telefoniche: cresciute in maniera vorticosa.
Liberalizzato il mercato del lavoro: scomparsa quasi totale dei contratti a tempo indeterminato, sostituiti dai vari contratti a progetto, a tempo, ecc.
Il nuovo miracolo italiano si chiama accordo di cartello. Le aziende che dovrebbero farsi concorrenza in modo da garantire migliori servizi a costi ridotti si mettono attorno ad un tavolo e si dicono "Qui dobbiamo mangiare tutti. Che prezzo facciamo?"
E poi, senza neanche più incontrarsi, fanno a gara a chi aumenta di più.
Quello che in qualsiasi altro paese occidentale è impossibile, grazie alle poderose normative antitrust, in Italia diventa facile come rubare in Chiesa.
A questo poi aggiungiamo anche il sistema bancario più vessatorio di tutto l'occidente, nel quale da qualche tempo arrivano anche le banche europee.
Finalmente, direte voi. Finalmente, direi io, se non fosse che le banche europee, in Italia, applicano la legge della garrota. Si adeguano cioè al mercato, facendo pagare le medesime commissioni e applicando i medesimi tassi.
Mi dispiace, finchè il liberismo che ci è dato di conoscere avrà questa faccia, preferisco il comunismo e le nazionalizzazioni.
Almeno non c'è nessuno che ti rapina in modo legale.
Ah, tra poco si vota.
Pensateci.
sabato 16 febbraio 2008
Il più grande statista del secolo
Parliamo ovviamente del secolo scorso. Sembra passato un millennio. Ma non una cifra su una data. Mille anni. Trecentosessantacinquemila giorni. Eppure, Gianfranco Fini, un giorno definì con questo titolo Benito Mussolini.
Il più grande statista del secolo. Colui il quale ha distrutto la fragile democrazia italiana, instaurando una feroce dittatura. Colui il quale ha stretto un patto di potere con un altro grande statista, Adolf Hitler. Colui il quale ha promulgato e applicato le leggi razziali, contribuendo al più grande genocidio della storia della razza umana. Colui il quale ha infine dichiarato guerra a mezzo mondo, mandando centinaia di migliaia di italiani a morire in Russia, in Africa, in Grecia, in Albania.
Se pensiamo a questa frase, detta nel 1994 in un intervista a la Stampa e successivamente rinnegata, viene da chiedersi chi sia il modello attuale a cui si ispira Gianfranco Fini. Berlusconi? Suvvia, Gianfranco.
Una camicia nera che si dovesse affacciare oggi sul proscenio italico cosa troverebbe di simile tra Mussolini ed il nano? Uno era orgogliosamente calvo, l’altro è pietosamente attaccato ad un simulacro di capigliatura. Uno coltivava l’idea di un impero che emulasse l’antico impero Romano, l’altro coltiva l’idea che tutto sia suo e che, nella malaugurata ipotesi che non lo sia, lo debba diventare a tutti i costi.
Però, a guardare bene, delle cose che li rendono simili ci sono. Lo stesso culto della personalità. La stessa pretesa di obbedienza da parte di tutti gli altri. Lo stesso odio razziale, uno per gli ebrei, l’altro per gli islamici.
Berlusconi è un vero fascista. Più di Fini. Più di Storace. Alla fine tutto torna. Bravo Gianfranco.
Ho solo un dubbio. Visto che sei così bravo, me lo puoi togliere tu.
Ho degli amici, tanti, che hanno sempre votato Alleanza Nazionale. Quando gli dicevo che Berlusconi era uno zozzo, che si faceva solo i cazzi suoi, rispondevano che anche a loro Berlusconi faceva schifo. Per questo votavano Alleanza Nazionale e non Forza Italia. Tutta un’altra cosa.
Come faccio a spiegargli ora che Fini e Berlusconi stanno nello stesso partito? E che Berlusconi è il capo di Fini? Non che prima non lo fosse, ma almeno le loro coscienze erano pulite. Votavano AN.
Per non parlare di quelle amministrazioni locali governate da AN, dove quelli di Forza Italia venivano fatti arrestare senza pietà. Come faranno ora a sedere fianco a fianco? Si saluteranno?
Ciao, maestro delle giravolte.
mercoledì 13 febbraio 2008
La crudeltà dell'ideologia
Un buon esempio sullo stato della nostra civiltà in questo disastrato paese è l'irruzione in un ospedale partenopeo di un gruppo di agenti di polizia, inviati da un magistrato ad interrompere quello che era stato annunciato come un aborto fuorilegge. Il magistrato è stato avvisato da una telefonata anonima.
Quello che segue, meglio di qualsiasi altro commento, descrive il mio stato d'animo al riguardo.
da la Repubblica del 13/02/2008
La crudeltà dell'ideologia
di FRANCESCO MERLO
Cosa avrebbero fatto i sette agenti di polizia se in quell'ospedale di Napoli fossero arrivati durante l'operazione e non subito dopo? Avrebbero rimesso il feto dentro la donna? "Fermi tutti, in nome della legge: controabortisca o sparo!".
Davvero la polizia che a Napoli irrompe in sala operatoria e sequestra un feto malformato è roba da teatro del grottesco e della crudeltà, da dramma di Artaud. Sembra un episodio inventato per dimostrare la stupidità dei fanatici della vita ad oltranza, per far vedere a quale ferocia si può arrivare in nome di un principio nobile e astratto ridotto ad ossessione e sventolato come un'ideologia, persino elettorale.
È difficile anche ragionare dinanzi a questa violenza che è stata commessa a Napoli. Una violenza contro la legge, innanzitutto, perché l'aborto era terapeutico e quindi legittimo, nel pieno rispetto della 194. Anche se va detto forte e chiaro che l'oscenità dell'irruzione non sarebbe cambiata di molto se quell'aborto fosse stato ai limiti della legge o persino fuorilegge, come si era arrogato il diritto di credere il giudice napoletano, informato - nientemeno! - da una telefonata anonima.
Ed ecco la domanda che giriamo ai lettori: perché un giudice, che ha studiato il Diritto laico e che sa che la giustizia mai dovrebbe muoversi in base ad una qualsiasi convinzione religiosa; perché un giudice che si è formato in un'Italia civile e tollerante non capisce che ci sono ambiti delicatissimi nei quali comunque non si interviene con i blitz, con le sirene, con le manette e con le pistole? Amareggia e addolora che questo signor giudice di Napoli si sia comportato come il burocrate di quella ferocia ideologica che si sta diffondendo in Italia su temi sensibili - e l'aborto è fra questi - che invece richiedono silenzio, rispetto, solidarietà. È come se un diavolo collettivo, un diavolo arrogante che presume di incarnare la morale pubblica, avesse spinto giudice e poliziotti a trattare un'intera struttura ospedaliera - dagli amministratori ai medici, dagli anestesisti agli infermieri - come un covo sordido di mammane abortiste.
Solo il fanatismo, che come sempre nasce da un'intenzione apparentemente buona, può fare credere che i medici di Napoli non siano persone per bene ma stregoni sadici, allegri assassini di nascituri. Il signor giudice, mandando la polizia in sala operatoria, ha trasformato un luogo di lenimento della sofferenza in un quadro di Bosch. E alla fine invece di mostrare il presunto orrore della professione medica, ha mostrato tutta l'asfissia di un'altra professione, della sua professione.
Quante telefonate anonime riceve un giudice a Napoli? Davvero ad ogni telefonata ordina un blitz in tempo reale? E come ha misurato l'urgenza dell'intervento? E quali rei stava cercando? La mamma? Il papà? I medici e gli anestesisti? Cosa voleva mettere sotto sequestro preventivo: l'utero di quella donna? Adesso, a quella signora che, appena uscita dalla sala operatoria, è stata sottoposta ad un incredibile interrogatorio, bisognerebbe che lo Stato chiedesse scusa. L'hanno trattata come un'omicida, come una snaturata che si vuole sbarazzare di un feto alla ventunesima settimana. Hanno inventato per lei il reato di feticidio, hanno applicato contro di lei il loro stupido estremismo che inutilmente vorrebbe deformare e deturpare il buon cattolicesimo italiano in schemi da sermoneggiatori fondamentalisti, con tutto questo parlare di Dio e dividersi su Dio.
La polizia non ha sorpreso una gang di infanticidi ma una donna provata da un terribile dramma personale, costretta ad abortire per non mettere al mondo, nel migliore dei casi, un infelice menomato. Per questa signora come per tutti gli italiani, di destra e di sinistra, l'aborto è, qualche volta, una disgrazia necessaria. Perché il diritto all'aborto, in questo caso terapeutico, risponde sempre e comunque a una legislazione d'eccezione. Speriamo dunque che serva questo orribile episodio di Napoli a mostrare tutta la miseria di un'idea che attribuisce alla sinistra di questo infelice paese la voglia matta di abortire e alla destra invece la difesa della vita. Non è così. Non ci sono in Italia da un lato gli abortisti che ballano attorno ai feti e dall'altro gli antiabortisti che si organizzano in squadre di polizia. In questo paese per tutti, e anche per la legge, l'aborto è sempre una tragedia.
Ecco perché, prima che il clima diventi infernale, ci permettiamo una volta tanto nella vita di esser d'accordo con Silvio Berlusconi che ha sconsigliato a Giuliano Ferrara di presentare una lista elettorale "per la vita". C'è forse in Italia qualcuno "per la morte"?
Berlusconi ha aggiunto ieri che secondo lui il dibattito sull'aborto andrebbe tenuto lontano dalla campagna elettorale. Ha ragione. E non perché il dibattito non meriti l'attenzione e il rispetto che anche Ferrara merita.
È stato Ferrara a dichiarare al "Corriere" che mai egli vorrebbe incriminare una donna che ha abortito, e che non è a cambiare la legge 194 che aspira con la sua battaglia. Chi allora, secondo lui, ha armato di ferocia l'interventismo del giudice e dei poliziotti di Napoli? Si sa che i cattolici sostengono che la vita va protetta sin dal concepimento, col risultato estremo di giudicare ogni aborto come una violazione del quinto comandamento. I protestanti invece considerano la nascita come la soglia decisiva senza tuttavia negare che la morte del feto sia un danno per i genitori. Per gli ebrei lo statuto del feto è una questione controversa perché un feto nel ventre della madre è un progetto di vita in corso d'opera. Per i musulmani il feto diventa un persona umana a quattro mesi dal concepimento anche se si tratta di "una persona umana allo stato vegetativo".
Come si vede - e ci scusiamo per il necessario schematismo - le religioni si dividono. E anche la scienza si divide. Ma nessuno stato laico, nessun legislatore laico può risolvere per legge questa disputa e nessuna sentenza di qualche Cassazione può fissare il momento in cui il nascituro diventa un individuo da proteggere giuridicamente. Senza arroganza dunque lo stato laico ha stabilito quel giorno e quell'ora nell'atto di nascita. Prima, il feto e la donna che lo porta in grembo vengono tutelate da un legge che, per quanto carente, è una buona legge, che ha fatto progressivamente diminuire il numero degli aborti, ha insegnato alle italiane che il diritto all'aborto è una drammatica conquista, un'angosciosa soluzione d'eccezione, e che la destra e la sinistra per una volta non c'entrano nulla.
(13 febbraio 2008)
venerdì 1 febbraio 2008
Il voto anticipato regala 300 milioni ai partiti
Da la Repubblica, 1 Febbraio 2008
ROMA - Sciogliere adesso le Camere e andare a votare significa regalare 300 milioni di euro ai partiti, cento milioni all'anno per i prossimi tre anni, fino al 2011, scadenza naturale della XV legislatura. Viene in mente "Lascia o raddoppia?", il gioco a quiz con cui gli italiani cominciarono a vincere soldi in tv nella seconda metà degli anni Cinquanta. Solo che stavolta i beneficiari sono i partiti e chi ci rimette è lo Stato, cioè i cittadini.
Il gioco, se così si può chiamare, è molto semplice: ogni anno i partiti si dividono, a seconda dei voti che hanno ricevuto, una torta di circa 50 milioni di euro che vanno sotto la voce rimborsi elettorali. Cinquanta milioni per ognuno dei cinque anni di legislatura. Una volta, secondo logica, se la legislatura finiva il rimborso veniva interrotto per lasciare il posto a quello nuovo che comunque sarebbe arrivato.
Invece nel febbraio 2006, ancora in sella il governo Berlusconi, interviene una piccolissima modifica che garantisce "l'erogazione del rimborso elettorale anche in caso di scioglimento delle Camere". Significa che i partiti rappresentati nel prossimo Parlamento - molti dei quali assolutamente identici - prenderanno due volte il rimborso elettorale. Succederà sicuramente a Forza Italia e al Pd che sommerà i rimborsi "vecchi" dell'Ulivo e quelli "nuovi" del Partito democratico. Forse anche in questo banalissimo calcolo di cassa sta una delle ragioni della volontà di tornare al voto. Votare conviene.
Da 800 lire a 1 euro. La "guida" in questo viaggio nello spreco è Silvana Mura, deputata dell'Italia dei Valori e tesoriera del partito che per ben due volte, nella Finanziaria votata nel dicembre 2006 e in quella approvata a dicembre scorso, ha provato a cambiare le cose. Rimbalzando nel muro di gomma degli stessi partiti. Mani pulite e il successivo referendum avevano abolito nel 1993 il finanziamento pubblico ai partiti che nel 1999 rispunta fuori sotto la dizione "rimborso elettorale". Fin qui niente di strano. Anzi, civilmente corretto visto che i partiti sono al servizio dei cittadini ed è giusto che abbiamo un rimborso per le loro spese.
Il rimborso viene quantificato in 800 lire per ogni voto ogni anno. L'arrivo dell'euro fa raddoppiare i prezzi di frutta e pane ma anche il rimborso ai partiti che nel 2002 - governo Berlusconi - da 800 lire passa a 1 euro tondo per ogni voto. Nessuno dice niente. I rimborsi scattano per le elezioni europee, Camera e Senato e regionali. Con i ritmi elettorali che ci sono in Italia praticamente è un rimborso continuo che puntuale compare ogni anno nei bilanci di Camera e Senato.
Doppio scandalo. Gli "scandali", così li chiama l'onorevole Mura, in questa pratica tutta italiana sono almeno due. Il primo: "Il fondo dei rimborsi elettorali è una cifra fissa calcolata non in base a chi va effettivamente alle urne ma sul numero degli aventi diritto". Uno spreco nello spreco che vale qualche milione di euro. Il fondo annuale, tanto per la Camera tanto per il Senato, è pari a 49 milioni e 964 mila 574 euro. Ma il numero delle persone che vota non corrisponde mai agli aventi diritto e il numero degli aventi diritto per il Senato è inferiore a quello della Camera. Qualche esempio. Nel 2006 per la Camera ha votato l'83% degli aventi diritto. Se il rimborso fosse reale, cioè solo per chi ha votato, sarebbe stato pari a 41 milioni e 789 mila euro, "un risparmio", secondo i conti di Silvana Mura, di "otto milioni di euro all'anno". Per il Senato ha votato il 76% degli aventi diritto, pari a 38 milioni di euro circa con un risparmio di 11 milioni all'anno.
Il secondo scandalo. E' quello che scatta nel caso di scioglimento anticipato delle camere. Fino al 2006 il rimborso veniva interrotto se si andava al voto. Più che logico visto che con la nuova legislatura scatta quello nuovo. Nel febbraio 2006, secondo governo Berlusconi, la norma viene così modificata: "In caso di scioglimento della Camere l'erogazione del rimborso è comunque effettuata". Una riga che vale qualche centinaia di milioni di euro. "Abbiamo provato - spiega Silvana Mura - a cambiare e a sostituire la parola "effettuata" con "interrotta" ma non ci siamo riusciti". E' impossibile perché il credito è vincolato. Come se uno accendesse un mutuo su quel rimborso: poi non puoi più rinunciarci perché vincolato.
Così vanno le cose. "Una generosa liquidazione dovuta a una norma scandalosa che incentiva la fine anticipata della legislatura" dice Silvana Mura. Che accusa: "I partiti hanno trovato il modo di guadagnare anche sulle crisi di governo".
Il resoconto della Gazzetta Ufficiale documenta che Forza Italia prenderà comunque 12 milioni l'anno fino al 2011 oltre a quelli che incasserà per il rimborso della XVI legislatura, la prossima. L'Ulivo ne prenderà circa 16 a cui potrà aggiungere i milioni che riceverà il neonato Pd. Chissà se nelle consultazioni si è parlato di questo inedito "Lascia o raddoppia?".
(1 febbraio 2008)
mercoledì 30 gennaio 2008
Clemente l'uomo senza semi - seconda puntata
Il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella e sua moglie Sandra Lonardo hanno due figli, Elio e Pellegrino.
Pellegrino è sposato a sua volta con Alessia Camilleri. Una bella famiglia come le altre, ma con qualcosa in più. Per sapere cosa, partiamo dal partito di Clemente che, come i più informati sanno, si chiama Udeur.
L'Udeur, in quanto partito votato dall'1,4% degli italiani adulti, ha diritto ad un giornale finanziato con denaro pubblico. Si chiama "Il Campanile", con sede a Roma, in Largo Arenula 34. Il giornale tira circa cinquemila copie, ne distribuisce 1.500, che in realtà vanno quasi sempre buttate. Lo testimoniano al collega Marco Lillo dell'Espresso, che ha fatto un'inchiesta specifica, sia un edicolante di San Lorenzo in Lucina, a due passi dal parlamento, sia un'altro nei pressi di Largo Arenula. Dice ad esempio il primo: "Da anni ne ricevo qualche copia. Non ne ho mai venduta una, vanno tutte nella spazzatura!". A che serve allora -direte voi- un giorna-le come quello? Serve soprattutto a prendere contributi per la stampa. Ogni anno Il Campanile incassa un milione e 331mila euro. E che farà di tutti quei soldi, che una persona normale non vede in una vita intera di lavoro? insisterete ancora voi. Che farà?
Anzitutto l'editore, Clemente Mastella, farà un contratto robusto con un giornalista di grido, un giornalista con le palle, uno di quelli capace di dare una direzione vigorosa al giornale, un opinionista, insomma. E così ha fatto. Un contratto da 40mila euro all'anno. Sapete con chi? Con Mastella Clemente, iscritto regolarmente all'Ordine dei Giornalisti, opinionista e anche segretario del partito. Ma è sempre lui, penserete. Che c'entra? Se è bravo. non vogliamo mica fare discriminazioni antidemocratiche. Ma andiamo avanti.
Dunque, se si vuol fare del giornalismo serio, bisognerà essere presenti dove si svolgono i fatti, nel territorio, vicini alla gente. Quindi sarà necessario spendere qualcosa per i viaggi. Infatti Il Campanile ha speso, nel 2005, 98mila euro per viaggi aerei e trasferte. Hanno volato soprattutto Sandra Lonardo Mastella, Elio Mastella e Pellegrino Mastella, nell'ordine. Tra l'altro, Elio Mastella è appassionato di voli. Era quello che fu
beccato mentre volava su un aereo di Stato al gran premio di Formula Uno di Monza, insieme al padre, Clemente Mastella, nella sua veste di amico del vicepresidente del Consiglio, Francesco Rutelli. Ed Elio Mastella, che ci faceva sull'aereo di Stato? L'esperto di pubbliche relazioni di Rutelli, quello ci faceva! Quindi, tornando al giornale. Le destinazioni. Dove andranno a fare il loro lavoro i collaboratori de Il Campanile? Gli ultimi biglietti d'aereo (con allegato soggiorno) l'editore li ha finanziati per Pellegrino Mastella e sua moglie Alessia Camilleri Mastella, che andavano a raggiungere papà e mamma a Cortina, alla festa sulla neve dell'Udeur. Siamo nell'aprile del 2006. Da allora - assicura l'editore- non ci sono più stati viaggi a
carico del giornale. Forse anche perché è cominciata la curiosità del magistrato Luigi De Magistris, sostituto procuratore della Repubblica a Catanzaro, il quale, con le inchieste Poseidon e Why Not, si avvicinava ai conti de Il Campanile.
Ve lo ricordate il magistrato De Magistris? Quello a cui il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, mandava tutti quei controlli, uno ogni settimana, fino a togliergli l'inchiesta? Ve lo ricordate? Bene, proprio lui!
Infine, un giornale tanto rappresentativo deve curare la propria immagine. Infatti Il Campanile ha speso 141mila euro per rappresentanza e 22mila euro per liberalità, che vuol dire regali ai conoscenti. Gli ordini sono andati tra gli altri alla Dolciaria Serio e al Torronificio del Casale, aziende di Summonte, il paese dei cognati del ministro: Antonietta Lonardo (sorella di Alessandra) e suo marito, il deputato Udeur Pasquale Giuditta.
Ma torniamo un attimo agli spostamenti. La Porsche Cayenne (4000 di cilindrata) di proprietà di Pellegrino Mastella fa benzina per duemila euro al mese, cioè una volta e mezzo quello che guadagna un metalmeccanico. Sapete dove? Al distributore di San Giovanni di Ceppaloni, vicino a Benevento, che sta proprio dietro l'angolo della villa del Ministro, quella con il parco intorno e con la piscina a forma di cozza. E sapete a chi va il conto? Al giornale
Il Campanile, che sta a Roma. Miracoli dell'ubiquità.
La prossima volta vi racconto la favola della compravendita della sede del giornale. A quanto è stata comprata dal vecchio proprietario, l'Inail, e a quanto è stata affittata all'editore, Clemente Mastella. Chi l'ha comprata, chiedete? Due giovani immobiliaristi d'assalto: Pellegrino ed Elio Mastella.
lunedì 28 gennaio 2008
Otto milioni di telecomandi
Forte della sua boria, del suo ego smisurato, dei fantomatici sondaggi sbandierati ogni tre per due, il Signore dell’Etere riparte per la sua ennesima devastante cavalcata.
Quanto costano le elezioni? Qualche milione di euro per organizzare le elezioni e pagare scrutatori, presidenti di seggio, ecc.
Nessun problema. Paghiamo noi.
Bisognerà risarcire quel migliaio deputati e senatori delle spese elettorali. E nessuno sa, ed è meglio che non sappia, di che cifra si parla.
Nessun problema. Paghiamo noi.
Quanto costano le elezioni? Nuovi incarichi a migliaia di funzionari e dirigenti pubblici, nominati dai nuovi eletti. Ovviamente liquidazione a quelli vecchi.
Nessun problema. Paghiamo noi.
La lista potrebbe continuare all’infinito. Un nuovo governo ci costa meno che mantenere Prodi al suo posto. A chi? A chi finalmente ha pagato qualche euro di tasse?
Vogliamo parlare dei tassisti? Ogni viaggio un entrata in nero. Se qualcuno chiede la ricevuta, normalmente è per metà importo. E’ stato chiesto di poter avere un migliaio di taxi in più a Roma, una città appartenente all’Europa. La risposta è stato il blocco della città. Le urla “duce, duce” all’indirizzo dell’Alemanno di turno. Tutto rimandato.
E i camionisti? Lo sciopero dei camionisti ha bloccato il paese. Chiunque avesse un furgone e veniva trovato alla guida poteva essere anche picchiato selvaggiamente. Se andava bene, le quattro gomme squarciate.
Che dire di queste dimostrazioni di civiltà? Ma non esiste la regolamentazione dello sciopero, per questi signori? Di queste caste, che cosa facciamo?
I metalmeccanici hanno combattuto anni, scioperando secondo quelle che sono le regole stabilite. Sono stati presi a pesci in faccia. Alla fine, l’elemosina. Un centinaio di euro (lordi) in busta.
Elezioni, elezioni subito. Cosi’ i partiti del centro-destra, che fino a qualche settimana fa parlavano di rinnovamento, di aria nuova, si ritrovano a prostrarsi davanti al Capo. Senza condizioni. D’altronde il Capo ha il portafogli a fisarmonica. Anche se la fedeltà dei servi costa, per lui non è un problema.
Qui meno male non paghiamo noi. Paga il Signore dell’Etere. Non sappiamo quanto e come. Ma risulta difficile credere che tanta obbedienza sia la conseguenza della sola capacità di mediazione e del suo carisma.
E la Brambilla? Che fine ha fatto? Sta a vedere che la ritroveremo nel prossimo Grande Fratello. Peccato. Mi mancheranno i suoi accavallamenti. Non certo i suoi ragionamenti.
A meno che non vorrà far parte del Popolo Dei Telecomandi. Gli Otto milioni di Telecomandi che il Signore dell’Etere vuole mandare in piazza come arma mortale contro chiunque si opponga alle elezioni e al suo ritorno al potere.
L’Italia è un grande palcoscenico. Chiunque può recitare. Qualcuno però resta sempre una comparsa.
giovedì 24 gennaio 2008
Clemente l'uomo senza semi
Questa fase della politica italiana è iniziata nel 2006. Sembra passata una settimana. Eppure, nei primi tre mesi di quell’anno si è compiuto quello che tecnicamente era la preparazione per un colpo di stato. Una legge elettorale studiata scientificamente, con un meccanismo che garantisce con certezza matematica l’ingovernabilità viene varata dal governo di centro-destra, con a capo Silvio Berlusconi. Questa legge elettorale viene varata con i soli voti della maggioranza di centro-destra, e sarà disconosciuta subito dopo da alcuni esponenti, che la definiranno “una porcata” (Calderoli, Lega Nord).
C’è addirittura un momento, durante lo spoglio elettorale, che dal Ministero degli Interni smettono misteriosamente di arrivare i dati relativi allo scrutinio. Quando i dati ricominciano ad arrivare, il recupero del centro-destra è prodigioso. Il distacco finale tra le due coalizioni è minimo.
In parlamento, dopo le elezioni, si presentano una pletora di partiti e partitini. Molti parlamentari sono inquisiti. Una cosa che in qualsiasi paese del mondo sarebbe uno sbarramento insormontabile ad una carica di governo locale, per il nostro paese è una cosa normale. Quasi come chi ha il compito di fare le leggi debba necessariamente ave sperimentato anche come violarle.
La maggioranza schiacciante di questi parlamentari è nel centro-destra. E non è un caso.
E pensare che a chi viene assunto in molte aziende italiane, oggi, nel 2008, molte volte viene chiesto il certificato dei carichi pendenti. C’è ancora qualcuno in questo paese che ritiene la moralità un valore e non un accessorio.
Inizia uno stillicidio di minacce, ricatti, tentativi di spallate che cercano di fare cadere il governo in carica. Romano Prodi mostra delle doti politiche fuori dal comune, tenendo assieme una maggioranza eterogenea, fatta di sinistra antagonista e liberali di destra.
Finchè il potere più forte di tutti si fa sentire, e dà il primo scossone al governo Prodi. Al Senato, dove i numeri sono sempre in bilico, arriva una telefonata al senatore Andreotti.
La votazione seguente la maggioranza non c’è più. Prodi va al Quirinale, rassegna le dimissioni.
Gli viene riaffidato l’incarico e viene varato un nuovo governo. Il programma faticosamente scritto attraverso un lavoro certosino sparisce, lasciando spazio ad una misera lista in dodici punti.
Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio su chi tiene la maggioranza sulla graticola, basta vedere questa lista e contare le cose che non ci sono più. Non ci sono più i P.A.C.S., non c’è più il progetto di revisione della legge sulla fecondazione assistita.
C’è un esecutore. E c’è anche un mandante.
Prodi affamatore, il governo aumenta le tasse e strozza gli italiani. Gli slogan televisivi del Padrone dell’Etere contro il governo si sprecano. Le tasse ovviamente aumentano solo per chi non le paga, i lavoratori autonomi. Chi le paga da sempre, neanche se ne accorge.
Le intercettazioni telefoniche, nel frattempo, ci raccontano un mondo. Ci raccontano che tutti i politici, di destra e di sinistra hanno i loro traffici. Ma il Padrone è sempre il Padrone.
Tenta di far cadere il governo, raccomandando ad un alto dirigente Rai una soubrette, amica di un tal senatore, che avrebbe potuto a quel punto votare contro il governo. La Repubblica delle soubrette.
Il braccio armato della C.E.I. comincia a muoversi. Si richede da oltretevere l’abolizione della legge 194, che regolamenta l’aborto. Una grande conquista civile di questo paese, frutto di una lotta dilaniante nei primi anni settanta.
L’Elefantino accosta il boia alle donne che abortiscono, chiedendo la moratoria sull’aborto. Il governo Prodi ricomincia a parlare dei D.I.C.O., una versione addolcita dei vecchi P.A.C.S. Bisogna farlo cadere. Bisogna mettere in moto i meccanismi giusti.
Arriva un ometto, a sistemare le cose. Il Ministro senza semi. Un uomo che, forte dei suoi cinquecentomila voti, raccolti nel suo feudo di Ceppaloni, minaccia da due anni il governo. L’uomo dei grandi valori cristiani della famiglia, la lunga mano della Chiesa all’interno del governo.
Arriva anche il pretesto. Un magistrato lo inquisisce, assieme alla moglie. Lui si dimette.
Stasera, l’epilogo. Uno dei suoi sgherri tenta di aggredire un senatore che vota a favore del governo, rifiutando di obbedire all’ordine di scuderia di far cadere il governo.
Se ce ne fosse stato ancora bisogno, sua moglie mette la firma sotto alla vicenda. “Ce l’hanno con noi perché siamo cattolici”.
Inizia il conto alla rovescia per il ritorno del Padrone dell’Etere al potere. Niente più legge per il riassetto del settore delle Telecomunicazioni. Niente più legge sul conflitto di interessi. Niente di niente. Chi comanda comaderà. I Vespa rimarrano in televisione. I Santoro spariranno. Biagi ce lo avevano già tolto. Luttazzi pure.
L’Italia resta nel terzo mondo dei servizi, del lavoro, della scuola, dell’informazione, delle strutture sociali. Con una differenza. I Paesi del Terzo mondo hanno una speranza per crescere e diventare qualcosa di diverso.
L’Italia no.
Stiamo diventando vecchi, aspettando che le cose migliorino. La discesa è diventata inarrestabile.
Qualche cosa che non va, in un paese in cui mille euro sono l’entrata mensile della maggioranza delle famiglie italiane e contemporaneamente la cifra spesa in una sera da molte altre persone, ci dovrà pure essere.
Questa volta, il Padrone dell’Etere seguirà il consiglio del suo più fedele amico di sempre, Cesarone.
Non farà prigionieri.